“Basterebbe il cielo” (Editrice Zona, Arezzo, 2013) è la nuova silloge poetica di Ugo Capezzali. Più di sessanta componimenti del poeta aquilano, fresco quarantenne, conosciuto nella sua città pure per esperienze teatrali legate alla compagnia Il Piccolo Resto, per l’ideazione e la conduzione di rubriche televisive locali e per aver ideato il booklet di “Dal profondo”, cd dei Gang con il cui ricavato è stato scavato un pozzo in Kenia. E’ noto anche fuori Abruzzo per la verve che mette sul palco quando canta col gruppo punk-rock dei Niutàun. Non è certo l’unico caso di laureato (nel suo caso in Ingegneria Ambientale) con successo pure nel campo delle arti e non nasconde la sua avidità di lettore di poesie. Più un sistema di vita che una passione.
La prima delle composizioni, “Pagine”, si conclude affermando che << il poeta è un momento / che dura lo spazio / di ogni poesia. >> rimandando così, forse, all’idea del Capezzali di 10 anni fa, quando in occasione della pubblicazione della sua prima raccolta, “Nient’altro che vento”, affermò che le poesie devono essere lette una per volta, una al giorno, per poterle apprezzare appieno ed assimilarne le emozioni.
Ad essa seguì la silloge “Fiori d’artificio” del 2009.
Nei testi di “Basterebbe il cielo”, presentato oggi, traspare un certo ermeticismo che non può non far pensare a Montale, Ungaretti o Quasimodo per quel linguaggio scarno, senza aggettivi ed a tratti doloroso e ricco di pathos. In Ungaretti era legato a un paese devastato dalle artiglierie della Prima Guerra Mondiale, in Capezzali al terremoto del 2009 che gli ha distrutto la città, più volte ricordata in poesie come “Vico Picenze” e poi soprattutto nella seconda parte della silloge, “frantumi di tempo”. Qui è contenuto “La mezza città”, testo già noto perché con esso Ugo Capezzali, a fine agosto, ha vinto il 1° premio al Concorso di Città di Sant’Arcangelo (PZ), riconoscimento che segue i precedenti “Hombres” (2004), “Laudomia Bonanni” e “Peltuinum”(2005), “Il sabato del villaggio” (2006 e 2010) e “Gennaro Sparagna” (2007).
La silloge raccoglie componimenti liberi, con uso studiato delle parole, qualche metafora e assenza di rime, in cui Capezzali appare legato agli affetti. Sua moglie e sua figlia sono, evidentemente, le sue muse e a loro è dedicata l’intera raccolta.
<< io non so spiegarti / il regalo di Mirna. / Lo sto ancora scartando >> dice la tenera “Tu che stai leggendo” una delle poesie della terza parte, “Il frutto”, dedicate alla sua bambina.
E’ una sorpresa poterlo accostare anche a Joyce per l’uso inusuale della punteggiatura: non di certo grammaticale ma poetica ed emotiva. Spesso la parola dopo il punto inizia con la minuscola; in ”Casa al suolo” accade il contrario: dopo la virgola la parola inizia con la maiuscola, come se questa, dice Walter Capezzali (Presidente della Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi) fosse un rafforzativo. Poesie come “Dentro e fuori”, “Ricco” o “Parole inutili” si aprono con la lettera minuscola. Pochissime le virgole. Sempre assenti i punti finali. Spesso il punto indica una semplice pausa emotiva all’interno della frase compiuta.
Colpisce la frequenza della parola “cielo”; a partire dal titolo della silloge “Basterebbe il cielo” che, in realtà, è un verso di “Sfacciato e stupendo”, poi è presente in “Tienimi” e “La sottile linea rossa”, in ogni caso verso la fine della composizione. Solo in “Troppe domande” e “Il cielo ci prova” è all’inizio del breve testo. Oltre quest’ultimo, altri 2 ce l’hanno nel titolo: “Il cielo bianco” e “A cosa serve il cielo”, ultimo testo della raccolta.
<< La silloge si rivela pertanto un cammino tutto interiore dell’anima, in cui il poeta rumina costantemente ricordi passati […] ed esperienze recenti; un diario intimo delle emozioni, attento, il poeta, a cogliere l’essenza profonda di ogni testimonianza di vita >> dice Liliana Biondi (dell’Università degli Studi dell’Aquila) nella “Prefazione”.